November 30, 2022
Evoluzione della classificazione sismica in Italia
Per classificazione sismica di un territorio s’intende la suddivisione per aree di una circoscrizione presa in oggetto in cui si va a identificare la pericolosità sismica presente.
Più precisamente si identificano, tramite dei parametri specifici – quali ad esempio la magnitudo o l’accelerazione di picco – le zone dove possono avvenire degli eventi sismici e quanto questi eventi possono provocare danni a cose e persone.
Come sono cambiate le zone sismiche nel tempo
I primi tentativi di mettere in atto una zonazione avvennero a inizio del secolo scorso, più precisamente a seguito dei terremoti di Messina del 1908 che provocarono 80.000 morti e del sisma di Avezzano del 1915, ricordato come terremoto della Marsica, che causò 30.000 perdite, sono appunto questi eventi che rendono l’Italia una zona altamente sismica.
Visti i danni ingenti in termini di beni materiali ma soprattutto di vite umane, la classe politica intervenne con l’emanazione di decreti che assegnavano ai vari comuni e alle zone limitrofe che erano stati soggette a eventi sismici la patente di comune sismicamente vulnerabile.
Inizialmente l’assegnazione avveniva proclamando un comune “sismico” o meno; successivamente venne introdotto il concetto di categoria sismica dei comuni divisa in due categorie, la I e la II, di cui la I risultava essere quella sottoposta ad un maggior rischio sismico. Alle categorie era legato l’approccio progettuale degli edifici: si definivano nelle norme le prescrizioni sia a livello urbanistico che a livello tecnico di quali particolari costruttivi e azioni sismiche si dovessero considerare.
Successivi eventi sismici portarono ad assegnare la pericolosità sismica sempre a più comuni. Un esempio dell’epoca è la mappa che era stata predisposta nel 1937 in cui si potevano riscontrare le aree che avevano subito eventi sismici negli anni precedenti.
Come si evince dalla mappa i comuni di gran parte del territorio nazionale non erano stati classificati. In detti comuni, non essendoci l’obbligo di considerare alcuna prescrizione antisismica, non si erigevano edifici con i dettami antisismici delle normative dell’epoca sia a livello urbanistico che tecnico.
Un punto fermo si ebbe nel 1981 dove, con l’entrata in vigore del decreto ministeriale venne introdotta la terza categoria sismica. Anche a livello normativo, si cominciò a ragionare in modo più compiuto con l’approccio progettuale di stampo dinamico che affiancava quello statico equivalente. Il grado di sismicità, che poteva assumere un valore tra 12, 9, o 6, legato rispettivamente alla prima, seconda e terza categoria, si legava al rapporto tra accelerazione di picco e accelerazione di gravità (ag/g); ciò nonostante rimanevano presenti delle zone definite NC, vale a dire non classificate.
Chi fece una vera e propria rivoluzione fu l’OPCM 3274 del 2003. Con questa ordinanza tutto il territorio nazionale risultava mappato sismicamente. Venne introdotta una quarta zona e si cambiò dicitura alle zone: da I, II III categoria si passò a identificare i comuni in zone dalla 1 alla 4, identificando la zona 1 la più vulnerabile.
Ad ogni zona venne assegnata la propria accelerazione ag/g. Per la zona 1 l’accelerazione di riferimento ag/g era di 035, per la 2 0.25, per la 3 0.15 e per la 4 0.05.
La rivoluzione fu anche a livello di calcolo. L’approccio preferenziale imposto dalla norma era di stampo dinamico e rispecchiava quanto riportato nell’Eurocodice 8. Si dava inoltre alle regioni la possibilità di poter cambiare la zona sismica assegnata al comune purché questa risultasse peggiorativa rispetto a quella prevista dall’ordinanza. Purtroppo nella maggior parte dei casi questa norma non fu applicata, in quanto lasciava la scappatoia di poter progettare in fase transitoria ancora con il vecchio decreto (D.M 96), fase dilatata fino all’approvazione del decreto successivo. La stessa cosa lasciava alle regioni la facoltà di decidere per quanto concernesse l’obbligo di progettare con criteri antisismici in zona 4, cosa che le regioni non hanno mai dato.
Di positivo vi era stato comunque il fatto che la nuova zonazione entrò in vigore andando ad aumentare rispetto al 1980 le zone sismiche e quindi dove gli edifici venivano progettati con dettami antisismici; l’unica eccezione rimanevano, come detto, le zone 4.
Nel 2005 ci fu l’emanazione di una norma tecnica ma non entrò mai in vigore, in quanto soppiantata dalle norme successive. In detta norma nulla cambiò rispetto alla zonazione e ai concetti introdotti nell’ordinanza 3274.
Con l’emanazione delle NTC del 2008 tramite decreto ministeriale le zone sismiche precedentemente istituite venivano a perdere il loro significato fisico ed assumevano una valenza prettamente amministrativa. Infatti ad esse non veniva più assegnata un’accelerazione di riferimento ma solo un’indicazione di grado sismico alto o basso e il loro significato si legava soprattutto all’iter burocratico delle pratiche descritte nella norma 1086 del ‘71 e successivamente al Dpr 380.
Le accelerazioni sismiche vennero assegnate ad una griglia di punti che ricopriva l’intero territorio nazionale e dalla quale si poteva ricavare l’accelerazione in ogni punto andando a mediare le accelerazioni di riferimento della griglia. Le conseguenze di quanto introdotto dalle NTC 2008 furono – e sono attualmente – le seguenti:
La nascita di due mappe di riferimento, una con caratteristiche fisiche in cui viene evidenziata l’accelerazione e l’altra la suddivisione in quattro zone.
Le accelerazioni di riferimento non sono più solo 4, per cui l’andamento da punto a punto risulta essere graduale e continuo, non vi è piu l’incongruenza di comuni limitrofi con differenza di accelerazioni pari ad a/g =0.1
A livello di progettazione degli edifici anche per la zona 4 c’è l’obbligatorietà di considerare la progettazione antisismica. Anche se con le NTC del 2008 per tali zone si dava ancora la possibilità del calcolo secondo il DM del 96 considerando un grado di sismicità pari a S=5; questo venne superato del tutto con l’avvento delle NTC del 2018 dove la progettazione fu resa omogenea per tutte le zone.
Ad oggi la situazione è rimasta a grandi linee come stabilito dal decreto del 2018. Le variazioni sono per la maggior parte dovute agli aggiornamenti delle zone imposti dalle regioni che hanno rivisto la zonazione a livello amministrativo innalzando la vulnerabilità dei territori e, in alcuni casi, introducendo delle sottozone, come è successo in Piemonte e nel Lazio.